Perché correggere
Viviamo immersi in un flusso continuo di parole scomponibili in pixel o tangibili su carta e la comunicazione si è adeguata
a un mondo molto veloce, dove fermarsi a riflettere sembra quasi un ostacolo all’efficienza.
I risultati di questa iperattività si vedono spesso nella scrittura,
come se un refuso, talvolta anche in poche righe, non avesse importanza perché tanto ciò che conta è l’insieme di parole.
Però è un testo preciso a trasmettere affidabilità e cura per ciò che si vuole comunicare.
Gli errori non sono da attribuire a chi scrive perché il suo pensiero è concentrato sulla fase creativa, sulla raccolta di informazioni e sulla ricerca dello stile migliore. Anche se in seguito rileggeremo i nostri testi, non troveremo mai tutti gli errori perché è come se i nostri occhi si fossero assuefatti a una data composizione. Inoltre, abbiamo tutti dei falsi ricordi che ci portano ad avere altrettante false certezze, come la data di un fatto, il nome di una persona e così via.
Ecco perché la correzione bozze e l’editing sono importanti.
Faccio solo un paio di esempi, in settori completamente diversi, che mi sembrano
rappresentativi degli effetti dell’assenza di revisione dei testi.
Consulto raramente le pagine web che propongono ricette. Nonostante ciò, ho già trovato più di un sito in cui un ingrediente messo in elenco sparisce dalla preparazione. C’è persino un lato comico in questo: immaginarsi circondati da tutti gli ingredienti e poi non sapere dove metterli. Chi è esperto di cucina non avrà problemi a trovare la soluzione, ma gli altri?
E un’altra cosa da evitare è proprio pensare che il lettore sappia già.
L’altro esempio. Su RayPlay è possibile vedere
When You’re Strange - A Film About the Doors. Nella breve descrizione fornita dal sito si legge: «Il racconto della nascita di una delle rock band più leggendarie d’America, il cui nome si deve al libro di Aldous Huxley “The Doors of Perception”». Ma nel documentario viene detto: «Jim ha già in mente un nome che gli piace, è ispirato a una poesia di William Blake, “Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo così com’è, infinita”».
Nel mio lavoro mi sono capitate spesso incongruenze di questo genere. In questo caso, la Treccani (fonte attendibile) risolve così l’enigma: «Il nome scelto è ispirato a un saggio dello scrittore e filosofo inglese Aldous Huxley, The doors of perception (1954 “Le porte della percezione”), titolo a sua volta tratto da un verso del poeta inglese Willam Blake».
È una notizia importante visto che il nome della band ha una sua precisa origine.
Ma… avete notato qualcos’altro? Il nome di Blake è William, non Willam. Anche alla Treccani può capitare di commettere qualche errore, a riprova di quanto ho detto all’inizio.
In questo breve video spiego a quali controlli viene sottoposto il testo.